Techetechetè -- Il Codice della Torah e il Teorema del Delirio

rubrica: 

 

 

 

 

... può il “Codice Genesi” essere stato volutamente integrato nella Bibbia?

Durante il ritorno alle terre di Babilonia, il compito affidato ai tre profeti Ageo, Zaccaria e Malachia fu quello di conservare la trasmissione della tradizione ebraica.
Più tardi, anche i farisei e le loro scuole di Yeshivoth, si diedero da fare per assicurare nel tempo la Torah, una serie di codici e di regole normalmente trasmesse per successione orale.
Torah (ebraico: תּוֹרָה) significa insegnamento o anche legge e sta ad indicare i primi cinque libri della Bibbia, gli stessi del Pentateuco nella tradizione greca. Essa fa dunque riferimento ai cinque rotoli originali in pergamena: Genesi (il principio), Esodo (i nomi), Levitico (egli chiamò), Numeri (nel deserto) e Deuteronomio (discorsi).
Ma nel tempo ci si rese conto che la semplice trasmissione orale degli insegnamenti non garantiva la stabilità e la coerenza necessaria a salvaguardare la fonte originale, per via di alcune divergenze di vedute da parte di nuove Scuole religiose.
Per ovviare a questi limiti, si rese necessario ricavare una serie precisa di conclusioni scritte: per questo i Rabbini e i membri del Sinedrio si incaricarono di raccogliere e classificare gli appunti della Torah trasformandoli in una più coerente tradizione scritta.
Anche altri fatti nuovi - come le persecuzioni, la distruzione del Tempio e la Diaspora - indussero poi i Capi Spirituali a riordinare le regole: prima in Trattati e poi in Ordini, in modo da costituire una Mishnah, cioè una sequenza di Insegnamenti da ripetere a memoria, ciò che rimane la vera essenza della Torah.
Nella preghiera ebraica, il nome di Dio è Adhonai (Signore) ma questo in realtà è solo un appellativo dato che il nome del Creatore non poteva essere pronunciato.
Il nome di Dio (YHWH) è in effetti impronunciabile per il semplice fatto che manca di vocali, un ottimo stratagemma per renderlo innominabile.
 
YHWH è un tetragramma, una particolare costruzione fonetica,che solo durante la lettura della preghiera veniva agganciato alle vocali pur rimanendo in parte inespresso, da cui il ricorso all’alternativa Adhonai, una soluzione adottata per evitare di nominare il nome di Dio, se non tramite un escamotage.
La catena della tradizione ebraica prosegue poi coi traduttori Masoreti (ebr: mesorah = conservatori della tradizione) nei cui manoscritti del Mar Morto provvidero ad applicare l’aggiunta delle vocali - tramite mutazione -della parola Adhonai al termine YHWH ottenendo l’ibrido Yehowah da cui anche l’appellativo “Geova” tuttoggi utilizzato dagli omonimi Testimoni.
 
... ma una grande curiosità si cela nella struttura della Torah, così come in quella di altri libri della Bibbia, in modo particolare nella Genesi.
Il “Codice Genesi” è un codice che pare essere stato volutamente integrato nella Bibbia.
Vediamo di cosa si tratta: se per esempio partiamo da una lettera qualsiasi del Sacro Testo e pensiamo a un numero a caso n, allora è possibile creare una successione di tipo n-esima (sempre distanziata di n). Fin qui niente di strano.
Se ora però ora proviamo a cambiare la lettera di partenza e/o l’ampiezza del passo (da ‘n’ a ‘m’) e rifacciamo la prova, il più delle volte, rileggendo i risultati ottenuti, avremo tanto orizzontalmente che verticalmente altre nuove combinazioni di parole di senso compiuto.
 
Per poter identificare una singola sequenza occorre conoscere la lettera del brano di testo da cui partire e le lettere che occorre "saltare" per giungere all’altra lettera che forma la catena. Se per esempio volessimo cercare una sequenza con estensione 2-8, dovremmo partire dalla seconda lettera del brano saltando le lettere successive fino a raggiungere quella che occupa l’ottavo posto, oppure un suo multiplo (16, 24, 32 ...).
Così facendo si possono trovare frasi di senso compiuto che trasmettono informazioni di carattere storico oppure particolari date di calendario corrispondenti a fatti passati o futuri.
La presenza di sequenze di lettere equidistanti in testi scritti è dimostrata scientificamente per alcuni di essi nei quali l’autore ha volutamente inserito le sequenze, mentre la questione è molto più delicata per la Bibbia, per via delle implicazioni culturali che ne derivano.
E’ davvero possibile che gli Autori delle Scritture abbiano potuto codificare nella Torah i nomi di chi sarebbe vissuto in epoche successive? Avrebbero davvero potuto fare un salto nel futuro creando una specie di correlazione tra il piano divino e il piano umano, ben oltre la dimensione del tempo?
Su come ciò sia possibile, la comunità scientifica si è divisa poiché ogni studioso fornisce una propria e personale chiave di lettura del codice sequenziale biblico. Tecnicamente ciò è possibile con le 22 lettere che formano l’alfabeto ebraico, dato che la lingua ebraica si compone di vocaboli formati da sole consonanti; le parole che fanno parte di brani biblici possono così essere scomposte e ricomposte grazie all’applicazione della tecnica di codificazione che richiede però l’individuazione della chiave di lettura della singola sequenza di lettere, un po’ come nei giochi di enigmistica.
L’informatica come al solito è corsa in aiuto degli studiosi tramite software specifici di analisi statistica.
I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti: con sole poche ore di calcolo elettronico è stato possibile scandagliare i 304.805 caratteri del Pentateuco in tutte le possibili sequenze (ELS = Equidistant Letter Sequences) presenti nel testo sulla base delle chiavi di lettura adottate.
Tra l’altro, spiccano nuovi studi (culminati col libro di Michael Drosnin: The Bible Code 1997) che hanno permesso di individuare alcune ELS relative all’assassinio di Rabin e a quello di Kennedy oltre all’incidente che costò la vita a Lady Diana.
Ma di che si tratta realmente? Una pura combinazione casuale o piuttosto una vera e propria rivelazione divina?
I lavori di un gruppo di matematici israeliani (Witztum, Rips e Rosenberg) si sono conclusi con la pubblicazione ufficiale sulla rivista Statistical Science (1994) intitolata: “Equidistant Letter Sequences in the Book of Genesis”.
 
Questo il commento del Direttore Editoriale di Statistical Science:
“... quando gli autori hanno fatto ricorso ad un test di randomizzazione (n.d.r. : tutte le possibili disposizioni del calcolo combinatorio) per verificare quanto raramente le disposizioni trovate potessero prodursi per pura casualità, hanno ottenuto un risultato di probabilità pari a p = 16 / 1.000.000. I nostri revisori ne sono rimasti stupefatti: le loro posizioni iniziali erano che il Libro della Genesi non potesse contenere riferimenti a personalità attuali, ma quando gli autori hanno compiuto ulteriori analisi e controlli, l’effetto ha semplicemente mantenuto la sua validità ...”
 
Mentre dunque il calcolo delle probabilità afferma che nella Genesi la possibilità di trovare sequenze di lettere con significati corrispondenti è di sedici su un milione, nella pratica ciò capita ben più frequentemente: i casi di corrispondenza scendono a 2 / 100.000 ... un salto veramente straordinario.
Ad ulteriore dimostrazione della attendibilità statistica dei loro risultati, gli isrealiani hanno analizzato anche la versione ebraica del Libro di Isaia e i primi 78.064 caratteri di una traduzione ebrea di Guerra e Pace di Tolstoy. Anche in questo caso hanno trovato diversi nomi in stretta associazione a date di nascita o di morte, anche se questi risultati non sono statisticamente schiaccianti perché il campione analizzato non è quantitativamente significativo (la versione della Genesi impiegata nel loro studio si riferisce al campionamento di 78.064 caratteri, troppo pochi per renderlo attendibile).
 
Ma ben di diverso avviso è la conclusione del professor Piergiorgio Odifreddi (Cattedra di Logica Matematica all'Università di Torino). Egli afferma che la tradizione di leggere nella Bibbia quello che non c’è è vecchia quanto la Bibbia stessa.
... tutto è nato perché sia i greci che gli ebrei non avevano simboli per i numeri. Avevano solo le lettere dell’alfabeto. E così entrambi portarono il proprio alfabeto a 27 lettere. In tal modo le prime nove potevano rappresentare i numeri da 1 a 9. Le seconde nove, le decine e le terze, le centinaia. La Bibbia è allora scritta con parole che sono numeri, anche se tutte le parole sono numeri ma non è vero il contrario. Tutto questo andirivieni fra lettere e numeri è quello che oggi si chiama la Ghematria e ha una tradizione secolare. Nel Codice Genesi non si fa altro che riportare al giorno d’oggi una tradizione antichissima. In più, si usa uno strumento moderno: la crittografia. Si può scrivere un messaggio cifrato scegliendo come significative lettere a intervalli regolari: ogni 2, per esempio. Ci sono infinite possibilità di questo metodo ...”.
 
... la Torah ...
Già, davvero un vero e grande mistero della matematica!
E sulla grande tensione emotiva della crittografia biblica, esce nel 1998 il capolavoro di Darren Aronofsky  (Brooklyn 1969 - live) nel film “Pi greco: Il teorema del delirio”.
In un clima di claustrofobia e di ossessioni, Max Cohen (l’attore Sean Gullette) si dibatte sulle quattro leggi principali della matematica:
1) La matematica è il linguaggio della natura.
2) Tutto ciò che ci circonda può essere rappresentato e compreso attraverso i numeri.
3) Se si traccia il diagramma numerico di qualsiasi sistema, se ne ottiene il modello.
4) In natura ci sono modelli ovunque.
 
 
 
 
Il film si ambienta sullo sfondo di una Manhattan buia, sporca e alienante dove Max vive solo con il suo computer Euclide ed il vecchio maestro di matematica alla ricerca di continue connessioni numeriche nella vita di tutti i giorni. Uno strano incidente di percorso lo porta però a scoprire una formula che sembra predire l'andamento della borsa di Wall Street, ma che al suo interno nasconde qualcosa di ancora più grande. Il film, girato in un freddo e sgranato bianco e nero vince il primo premio al Sundance Film Festival: un lavoro ingegnoso e paranoico che porta ai confini della metafisica.
E’ un film difficile, tenebroso ed angosciante ma occorre vederlo per lasciarsi trasportare.
Gli schemi ricorrenti della matematica di Max passano prima attraverso la serie dei numeri di Fibonacci, poi lungo la scoperta dei 216 numeri del nome di Dio degli Ebrei Cabalisti, fino all’autodistruzione del computer dopo la grande e definitiva rivelazione dei numeri della Torah.
 
Di fronte alla scoperta sconvolgente, il destino di Max è segnato poichè la voglia di schematizzare il mondo attraverso i numeri diventa secondaria rispetto alla scoperta di poter parlare con un Dio ‘crittografato’.
Max concluderà però la sua storia schizofrenica con la trapanazione della propria scatola cranica, quasi che la lobotomia possa scontare realmente il messaggio del Teorema del Delirio.
 
Francesco Caranti
 
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